

È inutile la lotta della donna che combatte per sentirsi libera, realizzata e felice? O, per lo meno, è equiparabile a quella dell’uomo, che nella sua battaglia può permettersi il lusso di concentrarsi sulle avversità e di disinteressarsi dell’”avversario donna”?
A leggere “Il sesso inutile”, il reportage sulla condizione femminile che nel 1960 Oriana Fallaci realizza per l’Europeo, parrebbe che sì, è inutile. E non è equiparabile. Gira e rigira, tra continenti e culture, la questione non cambia: la realizzazione della donna passa per l’uomo. Dell’uomo sono le regole imposte nel gioco della ricerca della felicità, che spesso somiglia piuttosto a un calvario per sole donne. Che siano le musulmane seppellite nel burka, o le matriarche malesi “indipendenti” dal maschio, le fredde cinesi irreggimentate dal Partito, le delicate giapponesi e le sensuali hawaiane fino alle belle e ricche e colte americane, in guerra “dentro gli edifici illuminati in perpetuo col neon giacché non vi arriva la luce calda del sole, contro i maschi avviliti”, donne moderne “forti, potenti, e maledettamente sole”.
E la Fallaci s’indigna. La figura della donna succube a ogni latitudine la disturba, la mancanza di un orizzonte, di un modello, da riportare a casa la demoralizza. E, in questo vuoto, come prototipo sembra quasi proporre se stessa. Forte, emancipata. Sensuale come la spessa riga di eye liner che usa anche sul campo di battaglia.
Poi nel 1973 incontra Alekos Panagulis per un’intervista. Lui è appena uscito dal carcere in cui è stato rinchiuso per cinque anni, in seguito all’attentato non riuscito a Papadopulos, l’allora capo del cosiddetto “Regime dei colonnelli” instaurato con il golpe del 1967 in Grecia. Panagulis è un duro, uno che non si è mai piegato alle torture fisiche e psicologiche e che anche durante la prigionia non ha mancato occasione per accusare e attaccare la giunta. È un tornado. Un eroe. Un combattente che vive per la lotta anche quando riconosce “Quant’è difficile essere un eroe. Quant’è crudele e disumano e in fondo stupido, inutile”, e che in questa “lotta per la lotta” perderà la vita tre anni dopo.
Tra i due è subito amore. La Fallaci lo ama “come non avrei più amato nessun’altro”. Lo ama come una donna ama un uomo. Si lascia risucchiare e travolgere dalla rincorsa agli ideali che sono un po’ anche i suoi, come dai capricci, dalle battaglie perse, dalle provocazioni insensate. Dai tradimenti. Mette in secondo piano interessi e professione. Mette in terzo piano se stessa, fino a perdere un figlio durante una lite violenta con lui. Fino a rischiare la vita, dietro la lotta inutile dell’uomo che ama.
Di Panagulis e del loro rapporto scriverà in “Un uomo”. Nel bene e nel male, parlerà di lui come di un vero uomo.
“Alekos, cosa significa essere un uomo?”
“Significa avere coraggio, avere dignità. Significa credere nell’umanità. Significa amare senza permettere a un amore di diventare un’àncora. Significa lottare. E vincere. E per te cos’è un uomo?”
“Direi che un uomo è ciò che sei tu, Alekos.”
La donna risoluta e autorevole, la giornalista affermata che intervista i potenti, per amore esce dai ranghi. Sembra dimenticare la quattordicenne pakistana trascinata verso un matrimonio al buio come “un pacco coperto da una cascata di stoffa”, e la domanda posta a un uomo lì vicino. “Cos’è?” “Niente. Una donna”. O la quindicenne indiana che vuol lasciarsi bruciare nel rogo funebre del vecchio marito non amato. Come loro si sottomette, pronta a scappare da New York alla prima chiamata di lui, per raggiungerlo malgrado l’ennesima umiliazione subita pochi giorni prima in aeroporto.
Ma non si tratta di un’abdicazione. Dopo la morte di Panagulis, la Fallci tornerà a issare la propria bandiera e a riprendersi il posto che si era guadagnata. Che le spettava. Parliamo soltanto di un periodo di confusione. “E l’amore esisteva, non era un imbroglio, era piuttosto una malattia, e di tale malattia potevo elencare tutti i segni”. Parliamo di come una donna accetti di rinunciare al potere. Di come sia stata educata a sacrificare il proprio.
Parliamo del secolo scorso.